Il Museo “Casello Di Guardia” di Porcia – Pordenone, ospita dal 7 luglio una bella mostra di Carlo Trost dal titolo “Please Touch me” – curata da Giovanni Cozzarizza con l’intervento critico di Alessandra Santin – rassegna che vede allineate una quarantina di lavori a raccontare l’evoluzione della poetica e del linguaggio dell’artista, dagli esordi fino ad oggi. Carlo Edoardo Trost (1959) vive tra Udine e Veil (USA), dove è rappresentato in permanenza dalla prestigiosa International Art Gallery, con la quale collabora da oltre 7 anni. Il mercato americano, infatti, lo ha accolto da molto tempo con il riguardo tributato ad un grande Maestro. Da un punto di vista estetico le sue opere – prevalentemente di legno – sono caratterizzate da intensa poesia ed estroso eclettismo; marcato lo spazio concesso alla mai banale decorazione, frequente l’uso della sorpresa, dello sbalordimento, espressi con modalità analitiche e concettuali. I lavori sono nel solco della poetica dell’artista: penetrante, intensa, delicata e anche scanzonata. Il suo successo sta, probabilmente, nel fatto che tra lui e la materia con la quale si esprime si è instaurato proprio un rapporto d’ “amore”. Il legno nelle sue varie essenze, tipologie e stagionature, non ha segreti per lui. Il maestro ne conosce intimamente la resistenza, le venature, la lavorabilità. Il profumo d’ogni tipo di tronco è, per lui, esperienza sensoriale d’esaltante valore. Trost sviluppa il suo lavoro attorno al tema dell’ecologia ma in termini impalpabili, utilizzando il registro della fantasia spensierata e lieve. I suoi esiti sono anche pervasi da vena intensamente elegiaca. Da ogni sua opera si sprigiona armonica plasticità, ottenuta con una fluidità che richiede un vero e proprio “conflitto-amorevole” con la materia, affinché la forma si liberi e possa rivelarsi in tutta la sua forza espressiva.
L’artista tocca, liscia, accarezza affettuosamente ogni pezzo del nobile materiale con una compassionevole tenerezza. Il legno, da parte sua, sembra corrispondere a questo profondo “sentimento” lasciandosi scolpire, modellare, incidere, cesellare, con arrendevolezza e cedevolezza che suggeriscono simmetria di sentimenti. Solo così si spiega l’armonica plasticità che si sprigiona da ogni suo lavoro, ottenuto con una fluidità che richiede un vero e proprio “conflitto-amorevole” con la materia, affinché la forma si liberi e possa rivelarsi in tutta la sua forza espressiva. Interprete suo malgrado di quel nomadismo culturale – nasce a Montevideo da padre friulano, torna a Udine, vive tra Italia e il Colorado, Usa – considerato espressione tipica della post-modernità, sperimenta il contatto fra civiltà, stili di vita, modelli di comportamento, ambienti e contesti fisici e antropici diversi e lontani da quelli familiari che favoriscono il gusto della contaminazione di generi e stili, e talvolta il piacere della provocazione. Secondo la buona tradizione, il nomadismo, a lungo andare, ti riconsegna al punto di partenza, una specie di “ritorno alle origini”. Ed ecco che si profila per Trost proprio questa bella mostra “a casa sua” in una importante sede museale. Nessuno è profeta in patria, dice l’adagio. Per un uomo di valore, peggio ancora per un artista, è difficile raggiungere posizioni di prestigio dove tutti lo conoscono, dove si sa tutto di lui. La confidenza riduce l’autorevolezza ed il rispetto. Infatti, poiché il successo è una cosa fuori del comune, facciamo fatica ad attribuirlo alla persona della porta accanto: lo riconosciamo più facilmente a chi non conosciamo che – venendo da lontano – porta con sé il fascino dell’ignoto, elemento fortemente mitizzante. Si aggiunga infine che il successo di chi non conosciamo non ci disturba, non ci umilia: quello del signore che abita nella casa di fronte magari ci deprime. Sembra una provocazione, pare possa dirci : e tu, perché non ce l’ai fatta ? Questa volta l’indiscutibile valore di Trost ha avuto il sopravvento su questi ragionamenti ed egli ha ottenuto un importante riconoscimento museale proprio in patria, che vale il doppio!
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