Reinvestire in Cultura è la fonte di ricchezza per il nostro Paese!

Beni culturali: come trasformare i costi in nuovo valore
Enrico Bressan*

Il dibattito sui beni culturali che in questo periodo sta prendendo sempre più spazio nei media, arriva in un momento di grandi trasformazioni e quindi anche di grandi opportunità. Come sempre, le crisi impongono attente riflessioni ed innovative energie per architettare e pianificare nuove strategie di ripresa e progresso. In questo contesto s’inseriscono, a pieno titolo, i beni culturali che, per l’Italia, oltre a rappresentare un patrimonio di indiscusso valore, debbono costituire le fondamenta forti dalle quali ripartire con nuovo slancio e vigore. Affinché le parole non rimangano tali, è necessario porre sul piatto del confronto oltre alle più svariate tematiche inerenti l’argomento, la concretezza dell’agire che passa inevitabilmente attraverso una riforma non tanto strutturale quanto, mi si passi il termine, culturale. E’ necessario infatti affrontare il tema dei beni culturali con una nuova visione ed anche con un diverso impatto emotivo. Faccio due esempi. 1) Le Università italiane offrono corsi di laurea per la conservazione dei beni culturali. Tale termine, conservazione, è desueto e necessita un certo rinvigorimento che abbia la forza d’imprimere un diverso avvicinamento/interesse degli studenti nei confronti di questa materia. In una logica che risponda più a concetti di tipo imprenditoriale e facendo riferimento agli sbocchi professionali che potrebbero crearsi (e che oggi drammaticamente mancano) questi corsi di laurea dovrebbero essere trasformati in corsi “per la valorizzazione dei beni culturali”. Questo perché il nostro patrimonio storico ed artistico, oltreché essere riconosciuto in tutto il mondo come unico, deve rappresentare una nuova opportunità d’impiego e quindi di speranza per i giovani. Senza una politica intelligente capace di valorizzare la testimonianza artistica attraverso il rilancio della manualità e quindi del sapere e della tradizione artigiana, anch’essa apprezzata ovunque, non è possibile pensare di avviare una nuova stagione per il complesso ed articolato mondo dei beni culturali del nostro Paese. 2) Da sempre la cultura è interpretata come un costo quindi come una voce negativa. Lo spettacolo è un costo, il teatro è un costo, la musica è un costo, il patrimonio storico ed artistico è un costo. Sicuramente nel tempo hanno contribuito l’inadeguata programmazione e un meccanismo di controllo della spesa diciamo a maglie larghe. Le istituzioni e gli enti pubblici spesso sono stati interpretati come pozzi di San Patrizio dai quali attingere ripetutamente le risorse (ovviamente di tipo finanziario) appesantendo sempre più i bilanci. In questo modo la qualità spesso si è persa ed i meccanismi si sono via via arrugginiti fino ad arrivare ai giorni nostri dove i predetti pozzi sono totalmente prosciugati. Per cambiare veramente è necessario creare adeguate condizioni affinché si possano iniettare intelligenti dosi di “visione e capacità imprenditoriale illuminata” in modo tale che il costo si trasformi quantomeno in valore tralasciando per ora il termine guadagno che può apparire in questa fase prematuro. Non scandalizziamoci comunque se i beni culturali diventano profit. Valorizzare (anziché conservare) e profit (anziché non profit) sono concetti che consentirebbero di scardinare una visione ed una cultura ormai “obsoleta”. Restaura-azione [sic] è ciò che le imprese possono dare alla cultura; innova-azione [sic] è ciò che la cultura può dare alle imprese. Se riusciamo a tradurre tutto ciò in strumenti operativi capaci di accorciare la distanza tra pubblico e privato, il “nuovo” ministero per i Beni e le Attività Culturali potrà diventare perno attorno al quale progettare la “nuova” Italia.

Fonte: Il Gazzettino – Venezia 1/4/2012
* Enrico Bressan presidente Fondaco Venezia

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