Tra misticismo e religiosità: la potenza dell’immagine in Hieronymus Bosch

«Nonostante le molte ingegnose, dotte e in parte estremamente utili ricerche dedite al compito di “decifrare Jerome Bosch”, non posso fare a meno di credere che il vero segreto dei suoi magnifici incubi e fantasticherie debba ancora essere svelato. Abbiamo scavato alcune brecce attraverso la porta di una stanza chiusa; ma in qualche modo non ci sembra d’aver trovato ancora la chiave.» Con tali parole Erwin Panofsky nel 1953 ammette le difficoltà riscontrate dalla critica d’arte nei confronti dell’attività di un’artista che sfugge a qualsiasi schema o etichettatura stilistica.

Fig. 1- J. Bosch, Trittico del Giardino delle Delizie, 1480-90, Museo del Prado, Madrid

L’errore più grande che si può compiere, infatti, è quello di riconnettere il significato delle opere boschane ad una valenza esclusivamente demoniaca, fantastica o addirittura esoterica; aggettivi, questi, sicuramente adattabili alla complessa natura simbolica che contraddistingue i polittici del pittore fiammingo, ma inutili se considerati nella loro singolarità.Come spesso accade poi in mancanza di veri e propri documenti biografici, un alone di mistero tende ad avvolgere la vita di Bosch, alimentando vere e proprie leggende secolari. Nato con molta probabilità intorno al 1453 a s’Hertogenbosch, la vita di Jeronimus van Aken è oggi ricostruibile quasi esclusivamente attraverso i documenti pervenuti dalla Confraternita di Nostra Signora(la ‘Lieve-Vrouwe Broederschap’) alla quale risulta iscritto già nel 1486-87.

Fig. 2- H. Bosch, Trittico del Giardino delle Delizie

Un dettaglio, questo, fondamentale, così come non trascurabile è lo stretto legame che la sua arte intrattiene con aspetti di un contesto sociale e culturale attraversato da forti tensioni. Nato in una famiglia di pittori, la sua vita trascorre apparentemente in tutta tranquillità in un momento storico caratterizzato da continue lotte religiose, Tribunali dell’Inquisizione e condanne di stregoneria: sarà, infatti, proprio nei Paesi Bassi che l’eresia luterana raggiunge vertici di inaudita violenza. Al tempo stesso, in ciò che è stato definito come un “[…] viaggio all’interno di quanto di più morboso risiede nell’immaginario collettivo religioso”, si ritrova anche il retaggio di una cultura medievale ancora non completamente sopita, di quelle paure per troppo tempo represse, che si mostrano nelle sue opere con una forza devastante che travolge l’umanità intera senza possibilità di scampo: il mondo stesso e la natura sono dominate completamente dalla follia. Una visione quasi alchemica della materia accompagna il “mescolarsi” di esseri animati e inanimati, mentre una morbosa concezione della sessualità tende ad aprire ad ulteriori aspetti ed in particolar modo alla probabile vicinanza di Bosch con un ulteriore Confraternita, quella dei cosiddetti Fratelli della Vita Comune, fermamente impegnati in una lotta contro la corruzione del clero, se non addirittura alla setta degli Homines Intelligentibus o a quella dei Fratelli e Sorelle del Libero Spirito, le cui dottrine ebbero ampia diffusione proprio nei Paesi Bassi sin dal primo XV secolo. Straordinaria è inoltre la corrispondenza tra alcune tematiche trattate dal pittore e contemporanee pubblicazioni letterarie: nei suoi paesaggi apocalittici sembrano risuonare le parole di Alain de la Roche con cui descrive la visione del mondo (1475) fatta di “animali simboleggianti i peccati, con orrendi organi genitali che producono torrenti di fuoco, oscurando la terra con il loro fumo”; il 1482 è l’anno di pubblicazione dell’Editio Princeps ispirata alla ‘Visione di Tondalo’, in cui si racconta della discesa agli Inferi di un dissoluto cavaliere irlandese del XII secolo, mentre ai due anni successivi risale la Bolla pontificia Summis desiderantes affectibus che sancisce il riconoscimento definitivo dell’esistenza sulla terra della lotta tra bene e male. Sarà proprio l’eterna contrapposizione tra queste due forze universali che trova la sua massima espressione in un capolavoro impareggiabile per complessità iconografica, grandiosità di progetto e virtuosismo compositivo, ovvero il celebre Trittico del Giardino delle Delizie (Fig. 1).

 

Fig. 3- Trittico del Giardino delle Delizie, part. con lago e animali esotici

Innumerevoli sono stati i tentativi di analizzare le tante scenette e i suoi contenuti singolarmente o nel complesso, preferendo di volta in volta interpretazioni esoteriche, religiose o mistiche che non hanno però permesso finora di pervenire ad una esaustiva conclusione. Il trittico chiuso (Fig. 2), formato da un pannello centrale e due ante laterali, mostra probabilmente la scena in grisalle della “Creazione della terra”, corrispondente al terzo giorno della Genesi: la forma, perfettamente sferica, raffigurata in una prospettiva aerea, permette di scorgere il pianeta ancora nella sua forma primordiale; la presenza quasi confinata di Dio, raffigurato in alto a sinistra, dotato di tiara papale e seduto su di un trono con in mano la Bibbia, sembrerebbe supportare tale ipotesi. Non mancano però ulteriori chiavi di lettura che hanno indotto ad avanzare un accostamento della scena con altri passi biblici riguardanti questa volta il Diluvio universale, con una evidente corrispondenza nella rappresentazione degli episodi interni. Il chiaroscuro lascerà il posto a colori smaltati e acidi nella raffigurazione del Paradiso Terrestre. La scena è incentrata ancora una volta sull’immagine di Dio e sul suo gesto benedicente nei confronti dei due Progenitori: la presa ferma del braccio di Eva e il gesto estremo di Adamo, il quale tenta di toccare con i piedi il Creatore, permette di individuare una sorta di circuito magico che si instaura tra i tre. Il tutto è dominato da un simbolismo latente e spesso sapientemente nascosto. Alle spalle della donna compaiono conigli, simbolo riconosciuto di fertilità, e una dracaena, rappresentante la vita eterna; da una fossa fuoriescono uccelli rapaci; un volatile a tre teste si accanisce sulla propria preda, mentre una pianta rampicante dai frutti rossi affianca Adamo. Ma ciò che più incuriosisce è il posizionamento, nel centro prospettico, di una stravagante costruzione rosa ornata di fiori e pietre preziose, identificata da alcuni con la leggendaria Fontana della Vita (Fig. 3). Il tutto mentre un serpente ed altri animali esotici si sostituiscono gradualmente a quelli immaginari mostrati in primo piano. Questa sensazione di caotica dispersione viene ripetuta nel settore centrale del polittico, su cui vi è raffigurato propriamente il Giardino delle Delizie affollato da uomini e donne dalla pelle chiara e scura che si lasciano andare in pose audaci (Fig. 4), affiancati ad altri caratterizzati da un’evidente peluria che li connoterebbe come esseri primitivi: una figura maschile realisticamente particolareggiata con i suoi capelli scuri e seminascosta in una grotta, punta chiaramente il dito contro una delle donne di quest’ultimo gruppo.

Fig. 4- Trittico del Giardino delle Delizie, pannello centrale part. con volatili e uomini di proporzioni inverosimili

In cielo una figura maschile cavalca un grifone tenendo tra le mani la pianta su cui è poggiato un volatile rosso; alla destra un cavaliere con coda di delfino vola su di un pesce alato portando con sé un bastone alla cui estremità è appesa una ciliegia. Sarà però nell’ultimo pannello che l’artista raggiunge il culmine della sua incredibile immaginazione. Rimandi mitologici e religiosi si fondono drammaticamente in quello che è stato definito come un “inferno musicale”, tanto lontano dagli accordi celestiali del Giorno del Giudizio, reso ancora più drammatico dalla scelta di un’ambientazione terrena, quella di una città avvolta dall’oscurità e rischiarata solo da bagliori provenienti dalle fiamme distruttive che si innalzano senza sosta. È qui che mostri simili ai famosi grilloi dell’antichità si divertono a torturare uomini e donne tramite strumenti musicali, portatori di contenuti erotici. Si distingue chiaramente anche quell’uomo-albero, riconosciuto in un disegno autografo dell’Albertina di Vienna, che si radica su di un lago ghiacciato portando nel torso, esibito come il guscio di un uovo appena dischiuso, dei biscazzieri mentre sul suo capo una zampogna assume le sembianze di un organo umano; lo sguardo sfuggente, malinconico e gli occhi puntati direttamente verso l’osservatore, invitano a far preziosa memoria delle terribili punizioni che attendono i peccatori. Non a caso in primo piano vengono presentate senza sosta atroci torture, con esseri umani crocifissi a strumenti, trafitti da spade o seviziati da “mostri” dalle indicibili fattezze; due enormi orecchie trapassate da un pugnale (Fig. 5) su cui è incisa una M potrebbero far riferimento al termine Mundus; un gruppo è intento ad eseguire una partitura incisa sulle natiche di un uomo in parte nascosto da una gigantesca arpa; un cavaliere sulla destra viene contemporaneamente sbranato da cani infernali.

Fig. 5-Trittico del Giardino delle Delizie, pannello destro. Part. delle orecchie trapassate da un pugnale

Troneggia sulla destra, nella sua evidente importanza, un essere con testa di uccello intento a cibarsi di dannati per poi defecarli, mentre appaiono al suo fianco scenette raffiguranti chiaramente i 7 peccati capitali, argomento trattato da Bosch in un’altra opera altamente moraleggiante: è in questo preciso momento che sembra tornare alla mente quel “CAVE, CAVE DEUS VIDET” scritto a lettere cubitali nel dipinto madrileno (1475-80). Un ammonimento che nel trittico preso in considerazione si fa immagine, si concretizza, sfora il limite verbale per impattare violentemente nella nostra coscienza, aldilà di ogni limite temporale o geografico. Ancora una volta l’arte si fa straordinario strumento al servizio della complessa psiche umana.

Maria Ruggiero

Clicca qui per il pdf “Bosch e il Trittico delle delizie”

 

 

 

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